Di Stefano Lo Verme 

Nel 2012, in occasione delle Olimpiadi di Londra, ad alcuni filmmaker britannici viene commissionata la realizzazione di cortometraggi volti a celebrare l’evento sportivo; e fra i nomi selezionati per il progetto c’è quello di una regista che, negli ultimi vent’anni, si è fatta apprezzare come una delle voci più originali e potenti del cinema europeo. Nata a Glasgow nel 1969, la scozzese Lynne Ramsay è dotata di uno ‘sguardo’ personalissimo e immediatamente identificabile: uno sguardo che, dai primi corti girati fra il 1996 e il 1997 e ricompensati al Festival di Cannes, passando per il folgorante film d’esordio del 1999 Ratcatcher, ha sempre mantenuto un’assoluta coerenza con una ben precisa idea di poetica del racconto audiovisivo. Una poetica che la Ramsay ha declinato in un’opera seconda sperimentale come Morvern Callar, del 2002, e che nel 2011 ha messo al servizio di una trasposizione del capolavoro letterario di Lionel Shriver, …E ora parliamo di Kevin (We Need to Talk About Kevin), uno dei migliori film del decennio: l’agghiacciante ritratto di un rapporto tra madre e figlio intessuto come un immersivo flusso di coscienza.

Dal 1° maggio è nelle sale italiane il quarto lungometraggio di Lynne Ramsay, il cupissimo e iperviolento A Beautiful Day (You Were Never Really Here), che arriva al cinema a un anno di distanza dalla sua presentazione al Festival di Cannes, dove ha ricevuto ottime critiche e due premi di peso (miglior sceneggiatura e miglior interpretazione maschile per Joaquin Phoenix). Un’occasione per fare un passo indietro e riscoprire, appunto, quel breve lavoro firmato durante la lunga pausa fra questi due film: Swimmer, vincitore del British Academy Award come miglior cortometraggio del 2012. Un prodotto su commissione, in partnership con BBC e Film4, ma lontanissimo da qualunque modello di agiografia sportiva; e non potrebbe essere altrimenti, del resto, quando dietro la macchina da presa c’è un’autrice che nella sua carriera non ha mai accettato compromessi di alcun tipo.

Lo swimmer del titolo è il giovane nuotatore (Tom Litten) che, nel corso di quattordici minuti, procede ad ampie bracciate all’interno di una natura restituita in uno splendido bianco e nero (la direttrice della fotografia è Natasha Braier, che proprio grazie a Swimmer sarebbe stata scelta da Nicolas Winding Refn per l’impressionante danza di luci e ombre di The Neon Demon). Dalle ampie panoramiche dei paesaggi britannici, l’occhio della cinepresa si restringe poi sul corpo flessuoso dello swimmer, come a volerne accarezzare le braccia in costante movimento o il viso efebico che emerge a tratti fra le onde. Ma la sua nuotata funge soprattutto da veicolo per una sorta di stream of consciousness che, nell’arco di qualche minuto, infrange totalmente il realismo della messa in scena, trasportandoci in un territorio dai contorni onirici.

E la Ramsay, regista attentissima alla fusione fra l’apparato visivo e il tappeto sonoro, anche in questo caso costruisce un connubio di geometrica precisione fra i due elementi: frammenti di conversazione, voci indistinte, musica, la melodia di uno standard della tradizione pop americana, The Very Thought of You, si alternano tra una sequenza e l’altra, in un’incessante variazione di atmosfere e stati d’animo. Nel frattempo, sullo schermo il percorso dello swimmer si trasforma in un viaggio metafisico: il volto di un bambino in abbigliamento da aviatore si materializza fra gli alberi, lo swimmer subisce l’agguato di misteriosi ragazzi armati di frecce che sembrano usciti da Il signore delle mosche… il cortometraggio della Ramsay non si propone come una facile allegoria ma, come di consueto nelle opere della regista scozzese, diventa un concentrato di suggestioni, talvolta angosciose, spesso inafferrabili. A Swimmer, insomma, basta un quarto d’ora per condurci in una dimensione ‘altra’, una dimensione in cui la realtà è modellata dal potere dell’immaginazione e del sogno; mentre questo piccolo film si rivela un fascinoso saggio di uno dei massimi talenti del cinema d’autore britannico.

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"Il pubblico vuole vedere sempre gli stessi film: bisogna deluderlo, sennò non si farebbe nulla di interessante nell’arte. (Woody Allen)"

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